Dopo la grande espansione del welfare State nei paesi europei, iniziata con la fine della seconda guerra mondiale ed alimentata dalla straordinaria crescita economica di quegli anni, dalla fine degli anni Novanta l’Italia ha dovuto fare i conti con la crisi della finanza pubblica a causa dell’esplosione del debito dello Stato e della bassa crescita del PIL e dunque attuare politiche di contenimento della spesa, inclusa quella sociale, che hanno comportato una notevole riduzione delle risorse principalmente nei bilanci di regioni e comuni, competenti in materia di sanità e di welfare locale.
Tali politiche restrittive però si sono scontrate drammaticamente con l’aumento e la complessità dei bisogni sociali dovuti all’invecchiamento della popolazione, alle trasformazioni del mercato del lavoro e delle reti sociali ed hanno indotto le principali istituzioni del welfare locale a ripensare strategie e forme di organizzazione dei servizi a favore della popolazione fragile e a rischio di marginalità, stante l’inadeguatezza del modello socio-assistenziale italiano, incentrato più su aiuti monetari che sull’offerta di servizi e su risposte standardizzate offerte dalle pubbliche amministrazioni, non adeguate alla crescente differenziazione dei bisogni.
Il legislatore ha tentato di superare questi limiti con la legge n. 328 del 2000, “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”, che ha segnato il passaggio dalla concezione dell’utente quale portatore di un bisogno specialistico a quella di persona nella sua totalità, costituita anche dalle sue risorse e dal suo contesto familiare e territoriale. Ma l’inadeguato finanziamento della stessa legge ne ha impedito la piena attuazione.
Una delle feste organizzate nella Rsa
Va considerata in particolare l’evoluzione demografica del nostro Paese, con una popolazione anziana che cresce più che nel resto d’Europa e genera nuovi e crescenti bisogni. L’invecchiamento della popolazione e la progressiva erosione della quota di popolazione attiva sono i fenomeni che più impatteranno sul welfare futuro. La quota di over 65 anni sulla popolazione totale dell’Italia ha già raggiunto il 20% e nel 2030 supererà il 26%. L’aumento del tasso di dipendenza degli anziani innescherà crescenti squilibri sui contributori e beneficiari del sistema pensionistico, che verrà sottoposto a nuove sfide di sostenibilità. A tale processo, si accompagna una forte crescita della domanda di assistenza, oggi pari al 6,7% della popolazione e che si prevede, per il 2040, pari al 10,7% (6,7 milioni di persone).
E’ vero che in questo momento storico sono disponibili i considerevoli finanziamenti resi disponibili dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma sono comunque risorse limitate nel tempo e poste a carico delle generazioni future. Dunque di fronte alla necessità di rendere sostenibile l’enorme debito pubblico italiano (destinato nei prossimi dieci anni a restare a livelli tra il 150 e il 140% del PIL) e quindi di contenere la spesa pubblica anche nei servizi di welfare, l’alternativa che si presenta per il futuro, se si vuole far fronte alla domanda sociale della popolazione fragile, non può essere che quella di un pluralismo societario, in cui i soggetti non profit (o del Terzo Settore) acquisiscono un ruolo più importante, accanto alle pubbliche amministrazioni e al privato for profit.
Sarà quindi sempre più necessario un “secondo welfare” alimentato dalla cooperazione dei diversi soggetti, pubblici e privati, che vivono ed operano sul territorio e nelle comunità locali, tra cui fondazioni, volontariato, soggetti non profit che, in partnership con gli enti locali e attraverso un forte radicamento territoriale, possono contribuire a dare risposte a nuovi e vecchi bisogni.
Una delle feste presso la Rsa organizzate dal Gruppo Alpini di Biancade
La capacità di queste organizzazioni di agire entro una dimensione comunitaria, caratterizzata dalla qualità delle relazioni sociali, favorisce infatti la conoscenza e la vicinanza al bisogno, permette di garantire una risposta allo stesso tramite l’attivazione di risorse materiali e immateriali del contesto territoriale, offrendo in questo modo soluzioni efficaci e flessibili nella comunità in cui operano, producendo innovazione sociale. Mentre attualmente è l’offerta di beni di welfare che orienta la domanda, in questo modo sarebbe la domanda delle persone ad orientare l’offerta dei servizi.
Mettendo davvero al centro dell’attenzione il cittadino e la comunità nel suo insieme, si possono dare risposte convincenti, coniugando politiche più efficaci e a minor costo e creando processi virtuosi in cui il welfare non rappresenti più un costo per la collettività, ma una opportunità per il territorio, l’economia e la società locale.